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Quanto costa il dentista?

Come si spiegano le marcate differenze nei listini di studi tradizionali, catene e low cost? Abbiamo approfondito l’argomento con il dr. Mario R. Cappellin, docente al Postgraduate “Management in Odontoiatria” dell’Università Vita Salute San Raffaele di Milano.

Dottor Cappellin, molti si lamentano che i dentisti tradizionali sono cari, secondo lei qual è il motivo?

In Italia le cure odontoiatriche sono in larghissima maggioranza affidate a professionisti privati, esattamente al contrario di quanto accade per le altre specialità a carico del Servizio Sanitario Nazionale: quando si fa una risonanza magnetica in ospedale, per esempio, il ticket è solo una minima parte del costo complessivo di quell’esame e sembra che “costi poco”, solo perché in realtà lo abbiamo già pagato in anticipo con le tasse. Quando invece va dal dentista, il paziente si fa carico dell’intero costo e, pagando di tasca propria, ne percepisce molto di più l’incidenza sul suo bilancio personale.

Lei insegna a un Postgraduate di Management odontoiatrico, ci può spiegare come si compone il prezzo di una prestazione dentistica?

Come in tutti i campi dell’economia, costi sostenuti e margini attesi determinano il listino: per semplificare al massimo, i costi di una cura comprendono gli stipendi del personale (odontoiatri, igienisti, assistenti alla poltrona e di segreteria), i materiali (quelli utilizzati nello studio dentistico, oltre a ciò che viene corrisposto al laboratorio odontotecnico) e infine i costi fissi (investimenti per attrezzature, immobile, bollette per utenze, pulizie…).
In uno studio dentistico tradizionale, i compensi per il personale medico e di assistenza sono voci che da sole determinano oltre la metà del costo: è importante notare che si tratta di costi lordi, nel senso che gli operatori dovranno poi appunto pagare le tasse (ai professionisti rimarrà circa la metà, ai dipendenti poco di più).


I costi fissi dipendono soprattutto da quanto si è investito in tecnologia: le migliori e più innovative apparecchiature hanno infatti costi elevati, alla portata solo degli studi più strutturati, che servono un maggior numero di pazienti e/o con prestazioni più complesse e specialistiche. Affitti, bollette e servizi vari incidono invece poco in percentuale, meno del 4-6%.
L’utile finale in uno studio tradizionale ben gestito si aggira attorno al 10-12%, ma occorre calcolare le tasse, le quali in Italia incidono pesantemente anche su altre voci, soprattutto su tributi e contributi del personale dipendente e dei collaboratori.

Come fanno le catene dentistiche low cost a proporre prezzi molto più bassi rispetto agli studi tradizionali? Usano materiali di scarsa qualità?

Il costo dei materiali non incide moltissimo sul prezzo finale, come è logico che sia in una prestazione sanitaria, in cui è determinante la componente umana: esempio tratto dall’esperienza comune, una matita può essere usata da un commesso di un supermercato del mobile o da un architetto specializzato in design d’interni, l’effetto finale del progetto sarà ben differente...
Le strutture low cost risparmiano sui medici e riducendo al minimo il personale di assistenza, con contratti che incentivano un costante ricambio (i dipendenti stessi tendono a dimettersi in cerca di migliori condizioni lavorative); in questo modo il prezzo finale si riduce, ma l’utile — ciò che interessa maggiormente agli investitori dei fondi speculativi che stanno dietro queste realtà — in percentuale rimane maggiore rispetto allo studio tradizionale.


La loro logica di sfruttamento commerciale è opposta a quella dello studio tradizionale, basata su un modello sanitario che crea valore per il paziente, per gli operatori e per la comunità in cui si inserisce: infatti gli investimenti in migliori retribuzioni e condizioni lavorative, formazione costante, attrezzature all’avanguardia e materiali di prima scelta hanno una ricaduta diretta sul benessere degli operatori, maggiormente motivati nel prendersi cura dei pazienti, ma anche indirettamente sull’intera filiera economica (fornitori, laboratori odontotecnici, maggiore capacità di spesa dei dipendenti, maggiore introito fiscale per lo Stato…) e quindi in definitiva sull’intera società.
C’è poi una fondamentale differenza fra acquistare un qualsiasi prodotto di consumo low cost e una prestazione sanitaria, perché nel campo della salute la formazione, la motivazione e l’esperienza degli operatori (medici e di assistenza) è la componente principale per garantire la qualità di esecuzione: è ovvio che gli operatori migliori cerchino un ambiente di lavoro e una retribuzione adeguata alle loro capacità.

La differenza maggiore sembra nei costi del personale di assistenza e nei costi fissi, voci non direttamente legate all’esecuzione della prestazione sanitaria… è forse questo il “segreto” di un prezzo basso?

Un anno fa volevamo assumere due segretarie, ricordo un episodio durante un colloquio di selezione: una ragazza lavorava da diversi anni in uno studio low cost come unica assistente, perciò incuriositi le abbiamo domandato come riuscisse a rispondere al telefono quando assisteva il dottore in un intervento di implantologia e lei, come se fosse del tutto normale, ci rispose che staccava il telefono!
Ridurre al minimo del personale di assistenza peggiora il servizio in generale, perché manca chi si possa prendere cura del paziente non solo durante la prestazione operativa, ma in tutto il suo percorso terapeutico e relazionale; soprattutto in caso di urgenze, solo una struttura bene organizzata è in grado di ricevere il paziente in giornata per risolvere il problema in tempi brevi.
Per quanto riguarda i costi fissi, è chiaro a tutti che l’investimento in tecnologie d’avanguardia aumenta i costi, ma garantisce anche la possibilità di accedere a tecniche e prestazioni innovative, spesso meno invasive e/o con tempi di esecuzione minori. Anche la cura di ambienti ampi, luminosi e accoglienti comporta maggiori costi, ma permette una migliore esperienza del paziente e degli operatori; studi scientifici correlano l’efficienza, la motivazione e la qualità del lavoro alla piacevolezza del clima e dell’ambiente lavorativo, a sua volta influenzato dalle scelte di design e dall’ergonomia architettonica. È ovvio che lavorare tutti i giorni in una stanza senza finestre all’interno di un centro commerciale è ben diverso rispetto a godere il panorama delle nostre stupende montagne da corridoi e studi operativi: non è questione di “lusso”, è una precisa scelta di investimento sulla qualità di vita degli operatori e, di conseguenza, sulla qualità del servizio ai pazienti.

Chi più spende, meno spende?

Il prezzo è correlato al valore: un conto è risparmiare eliminando il superfluo, un altro è tagliare i costi su aspetti che, pur non essendo immediatamente visibili, sono importanti e alla base della qualità.
Se una struttura punta su un prezzo “stracciato” per attirare pazienti, forse sarebbe più giusto parlare di “clienti”, perché è lecito domandarsi se in un orientamento così commerciale sia ancora possibile parlare di rapporto medico-paziente e di attività sanitaria… Risparmiare sulla salute è un affare solo per chi ci specula sopra, a scapito delle persone che lavorano in quelle attività e quindi anche dei pazienti che sono affidati alle loro cure.
Spero in questo articolo di aver condiviso informazioni utili a smascherare certe impostazioni commerciali, che alla lunga si rivelano perdenti e dannose per tutti coloro che vi si trovano coinvolti: per i pazienti che in buona fede pensano di trovare qualità a un prezzo basso, per i lavoratori che non sono posti nelle migliori condizioni per esercitare la loro attività e per le comunità che risultano impoverite da una logica di sfruttamento.
Tutti sanno che la salute è un bene prezioso e pertanto investire su cure di qualità è sempre la scelta migliore, non solo per se stessi, ma anche per sostenere tutti coloro che si impegnano quotidianamente per essere fedeli alla vocazione medica che hanno scelto.

Comunicazione sanitaria informativa ai sensi delle leggi 248/2006 e 145/2018 (comma 525) curata dalla Cappellin Foundation srl Società Benefit per conto della Clinica dentale Cappellin srl Società Benefit
PINEROLO aut. san. 60bis, direttore sanitario dr.ssa Ilaria Barbalinardo, Albo TO 3496
TORINO aut. san. 8/16, direttore sanitario dr.ssa Elisa Bottero, Albo TO 3201

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