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La storia di Dounia

La protagonista di questa storia è Dounia, la nostra prima strumentista di Sala Operatoria

Quando ci è stato proposto di scrivere una storia che parlasse di noi, la prima cosa che ho pensato è stata: “La mia storia, raccontare le esperienze che hanno fatto sì che diventassi la persona che sono oggi!” Per la prima volta mi sono sentita disposta a mettermi “a nudo”, avevo voglia di intraprendere un viaggio di introspezione e condividerlo con qualcuno. Da dove iniziare però?
Ci ho pensato a lungo e alla fine ho deciso di iniziare dall’evento che avrebbe sconvolto la mia vita per sempre.
Sono nata e cresciuta in Italia 🇮🇹, ho condotto un’infanzia e un’adolescenza felice, ho sempre avuto amici italiani, il mio primo amore è stato un ragazzo italiano; sentivo lontana la mia cultura, la mia religione, lontane le mie origini. I miei nonni li vedevo una volta ogni 5 anni, le mie sorelle vivevano più o meno la mia stessa situazione, una specie di doppia vita: fuori eravamo noi, a casa eravamo le bambine che i nostri genitori avevano cresciuto. Nel Natale del 2009 mio papà decise che era arrivato il momento di far visita alla famiglia in Marocco 🕌: saremmo partite io, le mie sorelle e mia mamma, lui ci avrebbe raggiunto in un secondo momento. Ricordo ancora come se fosse ieri, erano le 6 del mattino, mio papà ci accompagnò all’aeroporto di Bologna: nessuno parlava, era come se tutti sapessimo cosa stesse accadendo, ma nessuno aveva il coraggio di dirlo ✈️.

Quando arrivammo in Marocco passammo la prima settimana dai miei nonni nell’attesa che arrivasse mio papà. Il giorno in cui sarebbe dovuto arrivare, mia mamma ci disse che doveva parlarci: non so perché non fui sorpresa di quello che ci disse; me lo sentivo, forse perché nell’ultimo periodo passato in Italia il rapporto con i miei genitori si era incrinato, forse perché avevano realizzato che non saremo state quelle figlie che desideravano, che stavamo sfuggendo al loro controllo di genitori conservatori, insomma la notizia che non saremmo mai più ritornate in Italia non mi sorprese, eppure scoppiai a piangere. Non riuscii a dire nulla in quel momento, mi sembrava tutto inverosimile e non potevo fare a meno di pensare ai miei studi lasciati a metà, all’Accademia di Belle Arti 🎨 che avrei voluto frequentare. Nella valigia avevo messo solo i vestiti per le vacanze, avevo lasciato tutto, i miei libri, i miei disegni, i ricordi, le lettere, le foto e con essi una parte di me stessa che non sarebbe tornata mai più. Quando arrivò mio padre ci disse che aveva venduto tutto e aveva lasciato la casa; la cosa che mi ferì di più in assoluto fu il tradimento, il pensare che i miei genitori nell’ultimo periodo avevano architettato tutto alle nostre spalle, pensando di prendere la decisione più giusta senza neanche chiederci se eravamo d’accordo, senza renderci partecipi di una decisione che avrebbe sconvolto le nostre vite.

E adesso eravamo lì e tornare era assolutamente proibito, mi ricordo che agli inizi ci avevano sequestrato i documenti per paura che scappassimo! Passavo le notti a pensare a cosa ne sarebbe stato della mia vita, non avevo voglia di fare niente, non volevo integrarmi con quelle persone le vedevo troppo diverse, avevamo obiettivi completamente opposti; pensavo ai miei amici, al ragazzo che lasciai, a tutti che stavano conducendo le loro vite normalmente e tutte le notti mi facevo una domanda: “Perché A ME?”. Ho vissuto due anni così e in questi due anni ho imparato quanto l’uomo sia forte, quanto sia “programmato” per adattarsi a ogni situazione e a far fronte a ogni difficoltà, ma la cosa più importante è che in questi due anni ho colto il senso di tutto quello che stava capitando e del perché stesse capitando. Piano piano riuscii a convincermi che non potevo scappare dalla realtà, che la situazione era quella e dovevo adeguarmi, iniziai a uscire e in quel periodo feci la conoscenza di un ragazzo: rimasi colpita dal fatto che era molto diverso dagli uomini del mio paese, era una persona di larghe vedute, una persona che credeva realmente nella parità tra uomo e donna, una persona con cui potevo parlare di tutto senza sentirmi giudicata. Gli parlai di me, gli raccontai della mia vita passata, di com’era la nostra casa in Italia, di come avevo dipinto la mia stanza, gli raccontai di com’era bella Ferrara alle 8 di sera, di quanto mi mancavano i miei amici; gli raccontai di quanto avevo paura di stare lì e lui mi ascoltava affascinato. Ci frequentammo per un lungo periodo, poi un giorno mi chiese di sposarlo. Accettai.
Andai a vivere con lui per un periodo, poi presi LA MIA decisione, chiesi a mio marito se sarebbe stato disposto a venire in Italia e ricominciare una nuova vita e lui era disposto. Così tornai e mi lasciai alle spalle amici, famiglia, marito e tutte quelle certezze che pensi di avere quando non devi fare nulla per guadagnarti da vivere: all’epoca avevo 21 anni e comunicarlo ai miei genitori non fu cosa facile, tutt’altro.

Mio padre continuava a ripetermi: “Non sei ancora pronta per questo passo, sei una ragazzina, vedrai che poi te ne pentirai”, ma io desideravo tornare più di ogni altra cosa al mondo; sapevo che non sarei tornata a fare la vita di prima, che sarebbe stata dura, ma avevo una voglia immensa di mettermi a dura prova e dimostrare ai miei genitori – ma soprattutto a me stessa – di cosa ero capace 💪🏼.
E così fu, salutai tutti e presi l’aereo che mi avrebbe riportato a “casa”: inizialmente mi avrebbe ospitata la zia di mio marito, poi non appena mi fossi sistemata, avrei cercato casa e lui avrebbe potuto raggiungermi. Nei primi giorni di soggiorno in Italia iniziai a darmi da fare per cercare un lavoro, era l’unica cosa che desideravo: qualsiasi lavoro, non facevo distinzioni, all’inizio mi sarei adattata a qualsiasi cosa pur di dimostrare ai miei genitori che la loro “piccola” in realtà era diventata una donna in grado di mantenersi e gestire la sua vita autonomamente. La cosa non fu assolutamente cosa facile, un po’ per il periodo un po’ perché io non avevo alcuna esperienza di lavoro alle spalle: non riuscivo a trovare nulla, c’erano giorni in cui uscivo la mattina presto senza una meta precisa con la convinzione che non sarei tornata a casa se non avessi avuto il mio posto di lavoro, ma tutte le sere tornavo a casa senza nulla di guadagnato.

E’ stato in questo periodo che feci l’incontro che cambiò la mia vita; era un po’ di tempo che avevo letto da qualche parte di un corso per baristi nella mia zona, così quella mattina decisi di andare a dare un’occhiata; a un certo punto mi accorsi che erano ore che giravo a vuoto senza trovare nulla, in quel momento passò davanti a me una suora e decisi di chiedere proprio a lei se nei paraggi ci fosse una scuola che organizzava questi corsi; cominciammo a parlare, le raccontai di me e mi chiese di lasciarle il mio numero, così avrebbe potuto contattarmi se avesse trovato qualche lavoretto. Non credo che quest’incontro sia avvenuto per caso, ma credo piuttosto sia tutto frutto di un disegno complesso...
Per circa un anno la mia vita era stata questa: mi svegliavo la mattina, uscivo alla ricerca della mia occasione, tornavo a casa dopo l’ennesima porta sbattuta in faccia. I miei intanto si facevano sentire, volevano sapere cosa combinavo, se stavo lavorando, come mi trovavo da mia zia, continuavano a ripetermi che dovevo muovermi perché poi lei si sarebbe stancata di ospitarmi: erano tutti colpi che incassavo in silenzio, ma che in qualche modo mi hanno dato la forza di continuare nonostante tutto.

Si avvicinava Natale 🎄 e nel frattempo era arrivato mio marito, io stavo dietro ad una signora anziana e ci eravamo sistemati in un piccolo alloggio🏡: non era facile, ma almeno non dovevo sentirmi un peso per qualcuno; con quello che guadagnavo riuscivo a malapena a pagare l’affitto, per il resto ci manteneva mio padre. Era una situazione inaccettabile, ma non sapevo cos’altro fare. Proprio in quel periodo ricevetti una e-mail dalla mia amica suora che mi invitava a un pranzo di Natale: pensai che sarebbe stata una bella idea, magari avrei incontrato persone nuove e comunque era un bel pretesto per uscire dalla quotidianità; così accettai l’invito.

Quando entrai nella sala, mi sentii improvvisamente estranea e fuori luogo: avevamo deciso che mio marito mi avrebbe raggiunta, ma aveva avuto dei problemi con i trasporti e quindi visto che avevo confermato che ci sarei stata, andai sola. Presi posto tra gli invitati, cominciai a socializzare con le persone sedute vicino a me, piano piano cominciavo a sentirmi a mio agio.
Al tavolo con me c’era una persona con cui parlai molto, non sapevo chi fosse, ma parlare con lui era interessante, così cominciai a parlare di me, della mia situazione, dei miei progetti futuri: avevo infatti deciso che sarei rimasta in Italia fino a gennaio e poi forse sarei andata in Francia 🇫🇷. Quella persona mi disse che era il direttore di una clinica dentale, che la sua struttura offriva dei corsi di formazione gratuiti per assistenti alla poltrona e che potevo chiamare dopo le vacanze di Natale per un colloquio: in quel momento ebbi la sensazione che le cose avrebbero cominciato a girare per il verso giusto. Aspettai con ansia fino al 7 gennaio, chiamai e fissai un appuntamento per un colloquio la settimana successiva: ero al settimo cielo, ero convinta che l’incontro con la suora, il pranzo, sedermi al tavolo proprio con il direttore di una clinica… non fossero semplici casualità.

Poi ci fu la sorpresa che nessuno si aspettava, non volevo crederci nemmeno io, ma scoprii di aspettare un bimbo, non sapevo se essere felice o triste, non sapevo come avrei fatto da quel momento in poi, con un’altra grande responsabilità, ma soprattutto non sapevo cosa avrei detto al colloquio: ripensai alle parole di mio padre, a quelle parole che ritenevo “superate”, ma che forse un fondo di verità l’avevano. Dopo tanti ripensamenti chiamai mia mamma e le diedi la grande notizia, alla fine nonostante il momento che non era dei più felici era pur sempre una bellissima notizia: mia mamma scoppiò in lacrime e mi chiese se volevo tornare e lasciare stare tutto, che non dovevo vergognarmi e che loro sarebbero stati felicissimi di riavermi a casa; le risposi che finché non avessi giocato tutte le mie carte, non avrei fatto un passo indietro. E me ne rimaneva ancora una 🃏.

Mi presentai al colloquio, il direttore iniziò subito con la sua proposta, mi disse che inizialmente avrei affiancato la signora delle pulizie, nel frattempo avrei fatto un corso interno per assistente alla poltrona, poi avrei dato un esame e superato questo avrei potuto finalmente esercitare il mestiere di assistente. Ricordo che mentre parlava dentro di me pensavo a quando avrei dovuto parlare io, tenere nascosta la cosa sarebbe stato disonesto, quindi cercavo un modo per impostare il discorso in modo che non sembrasse troppo ridicolo, alla fine molto semplicemente dissi: “Guardi sarei molto contenta di accettare la sua proposta, ma ho scoperto da poco di aspettare un bimbo 👶🏼”. Ci fu un attimo di silenzio, poi il direttore disse: “Mi prende un po’ alla sprovvista, deve darmi un po’ di tempo per pensarci, le faremo sapere”; rimasi però colpita quando aggiunse: “Comunque questa è una bella notizia, deve essere felice!” .
Uscii da quella porta come se avessi tutto il peso del mondo sulle spalle: é vero che ormai di situazioni così ne avevo vissute tante, ma questa volta era diverso, questa volta ero ormai a un passo dalla meta e un po’ per colpa mia, un po’ per colpa del destino, adesso avevo bruciato la mia ultima occasione.

Tornai a casa, i miei mi chiamarono ☎️, ma quella sera non risposi. Ripensai a tutto, a come negli ultimi anni la mia vita era cambiata, ripensai al periodo passato in Marocco, a come cambiò il rapporto con i miei genitori, a quanto si consolidò il rapporto con mio padre, a come avevamo iniziato a parlare e ad ascoltarci; ripensai a quante cose mi insegnò attraverso i suoi racconti, attraverso la sua storia, ripensai alle sue raccomandazioni prima della partenza.
Capii perché i miei in quel lontano 2009 presero quella decisione, capii che quando le persone sono spaventate fanno cose spaventose, e loro lo erano, glielo leggevo negli occhi ogni volta che varcavo la soglia di casa. Ecco la risposta alla mia domanda: tutto questo doveva capitare ed è capitato affinché io imparassi a far fronte a ciò che avrei vissuto più tardi.
Il giorno dopo chiamai i miei genitori, raccontai loro del colloquio, dissi che avevo parlato della mia gravidanza e che mi avrebbero fatto sapere a giorni: loro mi dissero solo che avevo fatto la cosa giusta. Fui chiamata per un secondo colloquio, ero felice quel giorno 😄, non so perché ma dentro sentivo che avrei ricevuto una bella notizia e fu proprio così: entrai timidamente 😳, avevo quasi paura di sentire quello che avrebbe detto, le parole furono: “Abbiamo pensato a lungo e alla fine crediamo che non sia giusto penalizzarla per la sua onestà, quindi abbiamo deciso di assumerla comunque”.

Quel giorno uscendo ero felice per due motivi, il primo perché avevo un lavoro, il secondo perché finalmente ora potevo pensare che in questo mondo c’erano persone ancora pronte a scommettere sui giovani, senza badare ad alcun tipo di pregiudizio, senza alcuna discriminazione razziale o di sesso, persone pronte a dare una possibilità di dimostrare la propria serietà, la propria voglia di mettersi in gioco, di migliorarsi, di puntare in alto 🔝.
È stata ed è tuttora una bella esperienza lavorativa: ho condotto la mia gravidanza serenamente, ho fatto il corso di cui avevamo parlato nel primo colloquio e ho dato il mio esame .

Oggi sono mamma di una bellissima bimba e sono assistente alla poltrona presso la clinica dentale Cappellin, con il lavoro di assistenza riesco anche a combinare la passione per l’arte, attraverso progetti interni che vengono promossi con entusiasmo, ho instaurato buoni rapporti con le mie colleghe, con alcune di esse sono nate delle bellissime amicizie.
Prima di concludere volevo ribadire l’importanza del coraggio, del credere in se stessi e nelle proprie capacità, della volontà e della costanza, perché questo è l’insegnamento che spero venga colto dalla mia esperienza: non è presunzione e nemmeno moralismo, è solo una dimostrazione di come, in quanto siamo in parte artefici del nostro destino, siamo in grado con il nostro impegno di influenzare il corso delle cose e far sì che le nostre storie possano diventare storie a lieto fine.

Comunicazione sanitaria informativa ai sensi delle leggi 248/2006 e 145/2018 (comma 525) curata dalla Cappellin Foundation srl Società Benefit per conto della Clinica dentale Cappellin srl Società Benefit
PINEROLO aut. san. 60bis, direttore sanitario dr.ssa Ilaria Barbalinardo, Albo TO 3496
TORINO aut. san. 8/16, direttore sanitario dr.ssa Elisa Bottero, Albo TO 3201

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